Anche il 2014 è appena giunto al termine. E come sempre alla fine dell'anno, ognuno di noi fa un elenco di buoni propositi per l'anno nuovo. Ahi-noi anche i nostri governanti non si esimono da quest'usanza, e il "buon proposito" per l'anno nuovo si chiama TTIP.
Infatti, l'obiettivo del 2015 è proprio l'approvazione del Transatlantic Trade and Investment Partnership, un trattato che punta a creare la più grande area di libero scambio del pianeta, che comprenderà economie per circa il 60% del prodotto interno lordo mondiale. Dopo oltre vent'anni di politiche neo-liberali a suon di trattati e direttive (WTO, GATS, MAI, Maastricht, Lisbona, NAFTA, EPA, direttiva Bolkestein), il TTIP punta ad essere quel trattato che legittima una volta per tutte la supremazia dei mercati (e del libero scambio) su qual si voglia diritto (che sia esso di natura legale, socio-ambientale, del lavoro o che rappresenti i basilari principi democratici). Infatti in violazione del più basilare principio democratico, che vorrebbe che i cittadini siano messi al corrente (o per meglio dire coinvolti) di tutti i processi decisionali, sono ormai due anni che la negoziazione del TTIP è portata avanti in gran segreto. A dire il vero il processo non è andato avanti del tutto segretamente, perché sono stati invitati a partecipare alla stesura del trattato i rappresentanti delle 600 maggiori multinazionali mondiali. E proprio il connubio segretezza-multinazionale ha fatto sì che potessero sorgere proposte a dir poco sconcertanti. Infatti il trattato non lascia al caso nulla e va a toccare tutti i settori. Parte ad esempio dall'ambiente passando per il mondo agricolo. In questo caso il principio di precauzione lascia spazio alla prova scientifica di nocività. Ed ecco che tutto a un tratto sugli scaffali dei nostri supermercati potranno trovare spazio gli OGM, la carne agli ormoni ed i polli al cloro (con conseguente messa al bando dell'etichettatura e della tracciabilità dei prodotti alimentari e chimici). In materia ambientale, la situazione più emblematica riguarda l'estrazione e lo sfruttamento del gas di scisto (fracking). Nell'ultimo anno in USA sono stati scavati 11.000 nuovi pozzi, contro i circa dodici europei, risultanti dalle perplessità che molti studi hanno rilevato su questa tecnica estrattiva.
Non poteva restare fuori da quest'accordo il settore finanziario, dove si sta puntando ad una vera e propria asta al ribasso in termini di regolamentazione, come se la crisi attuale non fosse nata dalla totale mancanza di regole. Il vero obiettivo del trattato, però, è l'abbattimento di ogni diritto sociale. Nel trattato è previsto infatti che ogni multinazionale possa fare causa a qualsiasi Stato, nel caso in cui questo adotti politiche in contrasto con il principio del libero commercio e che possano portare a una riduzione dei profitti per le multinazionali stesse. Si pensi, ad esempio, alla Lone Pine (impresa californiana dell'energia), la quale ha chiesto al Tribunale Speciale istituito dal NAFTA (North American Free Trade Agreement) di condannare il Canada a un risarcimento di 191 milioni di dollari per aver imposto una moratoria sul fracking dettata dalla preoccupazione per i rischi per la salute e l'ambiente. La Phillip Morris ha invece denunciato l'Australia al Tribunale Speciale del WTO per le leggi antifumo e chiesto un risarcimento per i mancati profitti. Infine 3,7 miliardi di euro per mancati profitti dalle sue due centrali nucleari tedesche sono stati chiesti dalla svedese Vattenfall alla Germania, che ha abbandonato la produzione di energia nucleare dopo il disastro di Fukushima. Queste cause sarebbero regolate da un tribunale speciale (organismo sovranazionale – extraterritoriale composti da tre arbitri scelti generalmente tra "principi del foro") le cui sentenze, sul modello del collegio arbitrale, sarebbero inappellabili essendo sovraordinate alle Costituzioni stesse. E quali sono queste politiche che potrebbero ostacolare il libero commercio e dar vita a queste cause, se non quella in materia di tutela del lavoro, della salute e dell'ambiente? La sola minaccia di cause legali per milioni di euro, intentate da studi legali con centinaia di avvocati per conto delle multinazionali, può far si che i governi siano frenati, o addirittura messi nella condizione di dover rinunciare ad attuare queste politiche. I sostenitori del Trattato di Partenariato USA-UE per il Commercio e gli Investimenti ci dicono che la rinuncia a queste politiche porterà nelle famiglie ad un aumento di reddito pari a 545 dollari l'anno, nella migliore delle ipotesi. Tali studi però, si dimostrano superficiali in quanto non tengono conto né della distribuzione effettiva che avrà questa maggior ricchezza, né delle peculiarità dei modelli economici (soprattutto in Europa) coinvolti nel trattato.
Per concludere, il trattato per come è stato concepito si pone due obiettivi: acuire maggiormente le diseguaglianze economiche e sovvertire l'intero ordine democratico. Proprio per questo in Italia, ma sopratutto in tutta Europa, sono partite mobilitazioni con l'obiettivo di fermare il TTIP. A Torino si è formato il comitato STOP TTIP (a cui la MAG4 ha aderito), che mette in atto campagne volte a sensibilizzare l'opinione pubblica su questo tema. Per chi volesse partecipare, il comitato si riunisce ogni mercoledì sera presso la Casa umanista in via Martini 4 a Torino (si può rimanere aggiornati visitando il sito http://stopttiptorino.blogspot.it/). Chi invece volesse seguire e partecipare alle iniziative a livello nazionale può visitare il sito http://stop-ttip-italia.net/.